E non c’è nulla di cui vergognarsi
PERCHÉ IN ITALIA LE PERSONE SI VERGOGNANO DI DIRE CHE LAVORANO PER SOLDI?
Mi capita di collaborare a un bel progetto che vuole monitorare il benessere dei lavoratori nelle organizzazioni e vuole farlo in modo nuovo. Ci lavoriamo da mesi e abbiamo iniziato a fare dei test.
Mi capita quindi di ascoltare le riflessioni di molti lavoratori sul proprio benessere.
E mi capita continuamente di sentirmi rispondere che “non lavoro per lo stipendio, ci mancherebbe!”, “Se potessi vivere senza stipendio lavorerei comunque”, “il profitto è un valore che posso mettere all’ultimo posto”.
Allora ho capito che c’è un tabù tutto italiano: non si può dire apertamente che si lavora per fare denaro. È come se parlare di profitti fosse qualcosa di volgare, da mascherare dietro missioni alte o valori sempre più generici.
Ma perché dalle nostre parti è così difficile dire senza imbarazzo: “Sì, lavoro anche per guadagnare”?
Ho letto un po' e butto lì alcune ipotesi:
1. L’industria nata nel mito della responsabilità sociale - La cultura industriale italiana si è formata nel secondo dopoguerra intorno a figure di imprenditori illuminati (Olivetti, Falck, Pirelli...), che univano sviluppo economico e responsabilità sociale. Il profitto c’era, ma veniva messo in secondo piano nel discorso pubblico. Era certamente più nobile parlare di comunità, cultura, bellezza.
2. La cultura cattolica del lavoro come vocazione - Il lavoro è giusto se è sacrificio, dedizione, servizio. Parlare di soldi come motivazione primaria è indice di egoismo o superficialità.
3. Il mito del maestro artigiano - Siamo il Paese della qualità, della cura, della bellezza fatta a mano. In questo immaginario, chi pensa al margine più che al prodotto viene guardato con sospetto.
4. L’equilibrismo tra capitalismo e ideologia - La scarsa capacità di negoziazione delle nostre istituzioni e dei nostri sindacati e il linguaggio retorico di entrambi, ha messo le aziende nella condizione di non sporsi troppo sul lato del profitto per non essere percepiti come “contro” i lavoratori o la società civile.
In sintesi, viviamo un sistema in cui il denaro è il nemico del SENSO.
Eppure il profitto è il primo indicatore di sostenibilità di un’organizzazione, uno strumento che dà forza al progetto, dignità al lavoro, autonomia alle persone. Se non si fanno utili, non si cresce, non si innova, non si distribuisce valore.
Dai, diciamolo.
Sì, lavoriamo anche per i soldi.
E non c’è nulla di cui vergognarsi.